Wednesday, February 27, 2013

DALLA CANTINA/FROM THE CELLAR: ELLIOTT SMITH

Elliott Smith era un artista pieno di talento, fragile e delicato come quella spontaneità che non riusciva mai a nascondere quando si esibiva in luoghi in cui i presenti non avessero le sembianze morbide di una chitarra, la discrezione di quattro pareti o l' arrendevolezza di una bottiglia di birra. Per chi ha conosciuto la sua musica, i suoi sei album sono di importanza fondamentale e molti dei suoi brani sono tra i più illuminati di un'ipotetica colonna sonora di quegli anni '90, da cui molti ancora oggi hanno difficoltà a sganciarsi.
Nel 2003 ho avuto la fortuna di vederlo esibire dal vivo, in quello che sembrava il parcheggio del Giant Stadium, location scelta a forza dagli organizzatori del Field Day quando, a poche
settimane dal festival, le autorità (quali non ne sono sicuro) non concessero le autorizzazioni a svolgere la tre giorni in un gigantesco spazio verde alle porte di New York City. A poche centinaia di metri da quel parcheggio, nel palco principale, all'interno dello Stadio si alternavano nomi come Radiohead, Blur, Beastie Boys, Beck (che peraltro si fece male prima del concerto), Sigur Ros e molti altri. Ricordo la pioggia torrenziale, che non diede pace per dieci ore di musica ai quindicimila presenti. Ricordo il live di Underworld che salì sul palco con il preciso obiettivo di salvarci da una possibile ipotermia. All'improvviso l'intero stadio sembrava ballare sotto la pioggia incessante (che si sarebbe poi arresa solo vedendo salire Thom & company sul palco per cedere il posto alle note di 2+2=5). E mi sembra di rivedere qualche centinaio di fan ricoperti da buste di plastica di ogni colore ad attendere, un paio di ore prima, l'ingresso di Elliott Smith. E poi il suo arrivo. Sul palco, oltre alla backline delle bands che sarebbero salite dopo di lui, c' era una sedia. Finalmente, titubante, entrò e ci si sedette, salutò timidamente, imbracciò la sua chitarra ed iniziò. In scaletta ci furono alcuni dei suoi pezzi migliori e una sua versione di Long, Long, Long dei Beatles che però non riuscì a terminare così come la sua Pretty (ugly before) di cui ammise di non ricordare il testo. Fu uno dei suoi ultimi concerti, per l' esattezza il terzultimo e lo ricordo come uno dei live più emozionanti a cui abbia assistito nella mia vita. Trovai toccanti i momenti in cui, con la naturalezza di un bambino, ammetteva di aver sbagliato un attacco e ri-iniziava il brano o quando si scusò per non ricordare quel testo da lui stesso scritto. Ma questo nulla tolse alla sua bellissima musica e, anzi, contribuì a farci sentire come amici seduti intorno a lui, in un salotto, e a riscaldarci un po'. Penso che chi abbia avuto modo di conoscere la sua musica, o di vederlo suonare dal vivo, si senta in qualche modo un fortunato. E' per questo che mi fa piacere aprire questo blog parlando del video che a gennaio è riemerso dagli archivi del regista Paul Thomas Anderson. Si tratta della puntata pilota del Jon Brion Show per il canale VH1, programma poi mai andato in onda e presentato dal musicista Jon Brion (autore di bellissime colonne sonore come quelle di Boogie Nights, Se Mi Lasci ti Cancello e Magnolia). Il video, le cui immagini hanno la qualità scricchiolante dell' era dei vhs, ha come ospite Elliott Smith che accompagnato dallo stesso Brion (e poi anche da Brad Mehldau al piano) si esibisce in alcuni dei suoi pezzi forti...Son of Sam, Everything Means Nothing To Me e due splendide interpretazioni di Jealous Guy di Lennon e Waterloo Sunset dei Kinks. E' un documento importante, che riemerge proprio a dieci anni dalla tragica scomparsa di Elliott Smith e che lo mostra in tutto il suo talento e da cui ben si intravede l' uomo che era.
Tra un pezzo e l' altro Brion cerca di tirar fuori al timido artista anche qualche parola. Lui non ne concede molte, ma questo racconta forse ancora meglio il suo personaggio. A parlare, come sempre, è la sua musica. 

(ENG) Elliott Smith was a very talented artist. Fragile and delicate just like that spontaneity he could never hide when he was performing in places where the attendants had not the guise of a soft-shaped guitar, the discretion of four walls or the docility of a bottle of beer. For those who knew his music, his six albums are fundamental, and many of his songs are among the most enlightened in an hypothetical soundtrack to those 90s, from which many of us still find it difficult to disengage.
In 2003 I was lucky enough to see him live, performing in what seemed to be the Giants Stadium's porch. The stadium itself was chosen by the promoters of the Field Day's when, just a few weeks before the festival, the authorities (which one of them I really don't know) didn't  authorize for it to take place in some exotic woods on the outskirts of New York City. A few hundred meters from that same parking lot (maybe that's what it was), in the main stage you had names like Radiohead, Blur, Beastie Boys, Beck (who got hurt before the concert and couldn't play), Sigur Ros and many others alternating in front of the crowd's eyes. I remember the torrential rain, which gave no rest to the fifteen thousand souls who attended. I remember Underworld's live, who jumped on stage with the clear goal of saving us from a possible hypothermia. Suddenly the whole stadium seemed to dance under the pouring rain (which would surrender only when Thom & company gave way to the notes of "2 +2 = 5"). And I also recall a few hundred fans covered with colorful plastic bags  waiting for a couple of hours for Elliott Smith's arrival on stage. And then he did come. On the stage, in addition to the backline of the bands who would play after him, there 'was a chair. Finally, hesitant, he came in and sat down, waved shyly, embraced his guitar and started. In that day's tracklist there were some of his best tracks and his personal version of "Long, Long, Long" by the Beatles which he didn't manage to end just like his "Pretty (ugly before)" admitting he could not remember the lyrics. It was one of his last concerts. The third-last to be precise, and I still remember it as one of the most exciting live shows I attended in my life. I found very touching when, with the naturalness of a child, he admitted he had misplayed part of a song or, again, when he apologized for not remembering a song he himself had composed. But this in no way can diminish his beautiful music and, indeed, helped us to feel like some friends of his, sitting around him, in a living room. I think anyone who got to know his music, or saw him play live, felt somehow lucky. And it's for this reason that I'm glad to start this blog talking about the video that has just resurfaced (in January) from the archives of director Paul Thomas Anderson. This is the pilot episode of the "Jon Brion Show" for VH1. The program was never aired and was presented by musician Jon Brion (author of beautiful soundtracks such as those of "Boogie Nights", "Eternal Sunshine of the Spotless Mind" and "Magnolia"). The video, whose images have the creaking quality of the VHS era, guests Elliott Smith who performs some of his best music accompanied by Brion himself (and later, even by Brad Mehldau at the piano)..."Son of Sam", "Everything Means Nothing To Me" and two stunning covers: Lennon's "Jealous Guy" and "Waterloo Sunset" by the Kinks. It 'an important document, which emerges just ten years after the tragic death of Elliott Smith and shows him in all his talent and from which you can somehow tell the' man he was.
In between one song and the other, Brion tries to take out a few words from the shy artist. He does not offer us many, but perhaps this explains his character even better. Speaking outloud, as always, is his music.

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