Wednesday, March 12, 2014
I METRONOMY PROFANANO UNA DECINE DI BARE ILLUSTRI DEL ROCK MA IL MONDO DOVREBBE PERDONARLI
"Love Letters", il tanto atteso nuovo album dei Metronomy, uscito tre giorni fa su Because Music, non ha ricevuto l'accoglienza che probabilmente ci si aspettava, e che a mio avviso (lo dico subito), avrebbe meritato a pieno.
Molta della "pop critique" internazionale ha infatti liquidato velocemente il nuovo album (vedi Pitchfork che gli ha affibbiato uno striminzito 5.2/10) cercando un paragone immediato con il suo predecessore "The English Riviera" del 2011. Paragone che ci puo stare ma che, a mio avviso, non dovrebbe precludere l'ascoltatore dal comprendere il valore di questo lavoro.
Partiamo comunque anche noi con questo confronto dicendo che, se "The English Riviera" presentava uno yacht-pop estroverso e solare, "Love Letters" è invece un album più nostalgico ed autunnale. Da un lato la sabbia, dall'altro la polvere di uno scantinato sotterraneo dell'entroterra inglese. Anche se proprio di scantinato non si tratta, dato che l'album è stato registrato nei Toe Rag Studios di Hackney (Londra), uno dei tempii del sound analogico per eccellenza, la cui strumentazione ruota intorno ad una console di mixaggio EMI appartenuta, originariamente, agli studios di Abbey Road. Tra la strumentazione disponibile alla band non manca effettivamente nulla...neanche un set di percussioni Ludwig del'65. E questo si sente. Eccome se si sente. "Love Letters" è, infatti, un vero compendio di storia della musica degli anni '60 e '70.
La voce di Joseph Mount esce da queste sessioni di registrazione come quella di un Bowie d'annata (ascoltate il brano di apertura "The Upsetter" e giudicate voi) e la tracklist è una scampagnata sonora che ci porta a spasso tra referenze di grande spessore capaci di spaziare dai T-Rex di Marc Bolan, ai Kinks, al "Brit-Beat" dei The Zombies, alla psichedelia "sunshine" dei Beach Boys, l' R&B delle Supremes di Diana Ross, o ancora la disco (in particolare nella title track "Love Letters") o le sonorità ibride di "Boy Racers", in cui sembrano evidenti tanto tracce Italo-disco quanto di un Kraut vagamente in stile Kraftwerk o, ancora, il prog-rock di "Call Me"...con tanto di flauto traverso ed organi hammond. Un viaggio incessante che sembrerebbe terminare in "The Most Immaculate Haircut", con un tuffo rigenerante nel pieno della notte, nudi, sotto la luce viva di ciò che potrebbero essere stelle ma, a questo punto, anche lucciole.
Invece il viaggio procede con "Reservoir", un pezzo che sembrerebbe un omaggio a Piero Umiliani ed alle colonne sonore italiane di quegli anni, per poi salutarci con questa "Never Wanted" che più la ascolto e più mi ricorda qualcosa...ma ancora non riesco a capire cosa.
Insomma, tirando le somme, io a "Love Letters" darei un bel 9/10 soltanto per esser riusciti a scomodare tanti morti (o giù di lì) con così tanta classe.
Un album da gustare tanto nell'intimità di un paio di cuffie o di soffici lenzuola (soli o, meglio, in compagnia), quanto sotto il sole cocente che presto ci riabbraccerà.
Subscribe to:
Post Comments (Atom)
No comments:
Post a Comment