Tuesday, November 19, 2013

NOW TASTING: AVATISM - "ADAMANT" (ALBUM REVIEW)


Artist: Avatism
Album: Adamant
Label/Year: Vakant, 2013
Che gusto ha/What does it taste like:
Quelle descritte da Avatism nel suo album d'esordio "Adamant", sono ambientazioni buie e notturne, anche se, mai, propriamente "oscure". A vincere sembra invece un senso generale di vitalità e spazio (vedi la bellissima e Jarreiana "Not Everything is Lost"). La sensazione è quella infatti di una fuga notturna e non di claustrofobiche introspezioni. In "Different Spaces" sembra di sentire rivoli di sudore che ci rigano la fronte, la tensione dei muscoli orbitali che spalancano gli occhi per tenerli fissi sull'asfalto che ci corre intorno mentre la notte si posa su di noi come un manto di liscio velluto. "Planetario" è una traccia pulsante che sfugge a semplicistiche categorizzazioni di genere. A prevalere è sempre il bagaglio di sensazioni che ognuna di queste tracce evoca nel nostro immaginario. Musiche che riempono spazi vuoti e li tinteggiano di scene di vita. Incursioni soniche che spaziano tra i panorami più disparati (vedi il proto-funk tondo ed insistente di
"Mastodon"), o con piano e chitarre che si sciolgono nelle ritmiche più marcatamente electro. Immaginari notturni che prendono vita e scorrono intorno a noi, rendendocene a tratti parte integrante ed in altri freddi spettatori. Venti gelidi che si alternano a vampe di calore che ci provengono dall'interno. Velocità e fissa staticità. Adamant è un album di piacevoli contrasti. Tinteggiato di chiaroscuri e caratterizzato da un'impronta stilistica che mira alla sensorialità. Non è quindi la forma (peraltro ricca di fini ed intricate architetture sonore), quanto invece il contenuto ed il suo potere comunicativo, a rendere tanto affascinante questo progetto. Non mancano i rimandi illustri, sempre con riferimento alle atmosfere, al primo James Holden (vedi "Bitter Reminiscence"), e alle più recenti produzioni firmate Jon Hopkins. Ma c'è tanto tanto altro.
Avatism è un progetto, in tutto e per tutto, ambizioso e succulento. Che non ammette confini, di natura geografica o sonora. E che mira, a pieno merito, ad inserirsi nel panorama internazionale di quella musica "di frontiera", capace di attrarre il consenso ed il gusto tanto dell'ascoltatore, quanto del clubber, più aperto.

(ENG) Those described by Avatism in his debut album "Adamant", are dark and nocturne scenarios which are, never, sharply "obscure". The prevailing general sense is that of vitality and space (think of the beautiful and Jarre-ish "Everything Is Not Lost"). The feeling you get is that of a high-speed nightly escape. And not that of a claustrophobic introspection. In "Different Spaces" you can feel the sweat streaming down your forehead, the strain of your orbital muscles forcing your eyes open, to keep them fixed on the asphalt that runs around as the night settles over us like a blanket of smooth velvet. "Planetarium" is a pulsating track that defies simplistic genre categorizations. What truly sticks out, throughout the whole album, is the load of sensations that each of these tracks evokes in our imagination. Music that fills empty spaces and paints them in to alive scenes. Sonic raids spacing through the most diverse musical landscapes (check out the round and insisting proto-funk  beats of "Mastodon"), or piano and guitars melting within the more markedly electro rhytmics ("I Never Thought I'd Find Myself Here"). Nocturne, dark scenarios coming to life and flowing around us, sometimes making us an integral part of them and others leaving us steady as cold spectators. Icy winds alternating with hot flashes coming from within. Speed ​​and fixed stillnesses. Adamant is an album of beautiful contrasts. Painted in chiaroscuro and characterized by a stylistic imprint that aims to reach to our senses. It is therefore, not so much the form (which is, yet, full of fine and intricate sonic architectures ), rather the content, and its communicative power, to make this project so fascinating. Avatism's first release is also rich of illustrious references, at least in terms of atmospheres, to the first James Holden (see "Bitter Reminiscence"), and the latter productions signed by Jon Hopkins. But there's much much more to it.
Admant is a project, in all respects, ambitious and succulent . Which admits of no boundaries, neither geographical nor musical. And whose aim is, deservedly, to find its comfort-zone into the international scene of that "frontier" music, capable to attract the consent and the taste of the most open-minded listeners and clubbers.

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